Il negoziato sulla politica di coesione per il ciclo 2021-2027 deve aprire lo sguardo allo stato dell’economia e della società meridionale. Non si può posticipare l’avvio di strategie oculate, strutture e mezzi adeguati per rassicurare i cittadini e le imprese che vivono in questa area svantaggiata del Paese che qualcosa si sta muovendo nella direzione del cambiamento. In questo contesto, la distribuzione del budget tra le regioni italiane potrebbe penalizzare ancora una volta quelle in ritardo di sviluppo.
E’ utile all’avvio del negoziato sulla politica di coesione per il ciclo 2021-2027 volgere uno sguardo allo stato dell’economia e della società meridionale.
L’economia meridionale dopo sette anni di recessione ininterrotta dal 2008 al 2014 ed un triennio di ripresa dal 2015 al 2017 continua a registrare ancora un forte ritardo non solo con il resto dell’Europa, ma anche con il resto del Paese.
Alcuni dati positivi rilevati nel triennio 2015-2017 nell’area sono da riferire all’industria manifatturiera e alle esportazioni ad un aumento del flusso turistico cresciuto con un ritmo superiore rispetto a quello delle altre regioni italiane. La ripresa appare però ancora troppo debole, del tutto insufficiente a colmare il gap creatosi con la crisi. Anche guardando ai consumi la situazione con cambia; nel 2017 i consumi pro capite delle famiglie del Mezzogiorno sono risultati pari al 67,4% di quelli del centro Nord: nel 2007 erano pari al 71,2%.
Se spostiamo l’asse di analisi sugli investimenti pubblici si nota che nel Mezzogiorno si posizionano ad un livello più basso rispetto a quello precedente la crisi e non sono evidenti segnali tali da invertire un trend negativo. La spesa pubblica, allo stesso tempo, è aumentata moderatamente al Centro Nord, mentre è diminuita al Sud.
La SVIMEZ nel suo recente Rapporto ha segnalato che per il biennio 2018-2019 il Mezzogiorno rischia una “grande frenata”. Secondo queste previsioni nel biennio si registrerà una accentuazione della divergenza tra le due aree del Paese: il PIL nel 2018 crescerà del 1,4% nel Centro Nord a fronte dell’1,0% del Sud. Nel 2019 si registrerà un 1,2% nel Centro Nord e un misero 0,7% nel Sud, la metà della crescita fatta registrare nel 2017.
Per invertire questa tendenza oggi più che mai sono necessarie specifiche politiche in grado di incentivare gli investimenti infrastrutturali di cui il Sud ha particolarmente bisogno. Questi investimenti avrebbero un effetto leva non solo favorendo una crescita aggiuntiva nel Mezzogiorno, ma su tutto il Paese.
Nel Mezzogiorno si delinea tra l’altro una dinamica sociale che tende sempre di più ad escludere una parte crescente di cittadini dal mercato del lavoro, ampliando sacche di povertà. La crescita occupazionale appare troppo debole, insufficiente a colmare il crollo dei posti di lavoro avvenuto negli anni di crisi e caratterizzata da una crescente precarietà. Il livello di occupazione nel 2017 è inferiore a quello del 2008 di 310 mila unità. Il tasso di occupazione nel mezzogiorno è ancora due punti al di sotto del 2008 (44% nel 2017 a fronte del 46% del 2008), mentre il Centro Nord ha recuperato i livelli (65,5% del 2017 a fronte del 65,6 del 2008). Il dato più eclatante però è quello di un divario generazionale: i lavoratori giovani (15-34 anni) che nel 2008 rappresentavano il 30% degli occupati nel 2017 rappresentano solo il 22%.
Sono in aumento conseguentemente le famiglie in povertà assoluta: nel 2016 erano 700 mila sono 845 mila nel 2017. La povertà riguarda sempre di più i giovani che scontano oltre ad una difficoltà crescente ad entrare sul mercato del lavoro e un processo di precarizzazione dato da un peggioramento qualitativo del mercato del lavoro.
Un ampliamento del divario Nord-Sud si registra nei servizi al cittadino, con un indebolimento delle politiche di welfare volte a supportare le fasce più deboli della popolazione. E’ evidente una carenza di diritti fondamentali in termini di vivibilità, di sicurezza, di adeguati standard di istruzione, di idoneità di servizi sanitari e di cura sia per gli anziani che per l’infanzia.
In particolare nel comparto sanitario tutte le regioni meridionali (ad esclusione della Basilicata e del Molise) erogano prestazioni al di sotto dei Livelli Essenziali di Assistenza. Un dato testimoniato dalla mobilità ospedaliera interregionale che mostra come i maggiori flussi di emigrazione si registrano per le Regioni Calabria, Campania e Sicilia, mentre le Regioni che attraggono malati sono la Lombardia e l’Emilia Romagna.
Infine, le performance delle Pubbliche Amministrazioni nelle regioni italiane misurate sulla base della qualità dei servizi pubblici forniti ai cittadini nella vita quotidiana vede tutte le regioni meridionali agli ultimi posti.
Questo quadro a tinte fosche non può non determinare negli addetti ai lavori una riflessione profonda sul ruolo che la politica di coesione può avere per il Mezzogiorno. Non si tratta solo di risorse, peraltro spese poco e male, ma si tratta di mettere in campo strategie oculate, strutture e mezzi adeguati per rassicurare i cittadini e le imprese che vivono in questa area svantaggiata del Paese che qualcosa si sta muovendo nella direzione del cambiamento.
Avanzo qualche ipotesi di lavoro, certamente non esaustiva, ma utile per i ragionamenti che saranno realizzati nei prossimi mesi nel negoziato con la Commissione.
Il primo tassello della proposta è legata a rendere più efficaci le misure di incentivazione agli investimenti, soprattutto in settori innovativi, al fine di favorire del sistema produttivo meridionale e la creazione di nuove start up specializzate in business emergenti.
Attrarre capitali stranieri è l’altro elemento determinate. Su questo ambito l’avvio delle Zone Economiche Speciali per creare condizioni di localizzazione più vantaggiose non può essere rimandato oltre. Rientra in questo alveo un forte intervento di potenziamento dei sistemi logistici, in particolare quelli portuali.
Sul versante degli investimenti e del lavoro, la realizzazione di un piano straordinario di infrastrutture di primaria importanza potrebbe significare una iniezione di lavoro importante soprattutto di quello giovanile.
L’altro elemento di attenzione deve essere quello dei servizi alle persone: i) potenziare le strutture ospedaliere e i servizi territoriali di cura alla persona, ii) favorire l’aumento e la qualificazione dei servizi e delle infrastrutture socio – educative rivolte all’infanzia; iii) puntare sulla qualificazione dei sistemi educativi sono solo alcuni degli esempi su cui concentrare gli sforzi.
Chiaramente, tutti questi interventi devono necessariamente procedere di pari passo con una semplificazione delle procedure amministrative per garantire tempi rapidi di realizzazione, con un forte intervento sulle competenze specifiche degli addetti ai lavori, sull’individuazione di strutture attuative più efficienti ricorrendo ad expertise esterne alla pubblica amministrazione.
Per realizzare tali obiettivi a livello nazionale non è più rinviabile l’attuazione della cosiddetta “clausola del 34%” per i trasferimenti della la spesa pubblica ordinaria, mai attuata, ed estendendola anche alle grandi aziende pubbliche.
Sull’aspetto delle risorse della politica di coesione è utile segnalare un elemento critico che potrebbe ancora di più peggiorare la situazione del Mezzogiorno. Nella proposta della Commissione europea di ripartizione delle risorse per la coesione 2021-2027, l’Italia registra rispetto al ciclo 2014-2020 un incremento, a prezzi 2018, di circa 2,4 Miliardi di euro, pari a 638,2 euro ad abitante (+ 6%). Questo incremento è stato determinato sulla base dei nuovi parametri che vedono non solo il PIL, che rimane un parametro sulla base del quale si attribuiscono l’85% delle risorse, ma anche il livello della disoccupazione, con particolare a quella giovanile, i livelli di istruzione, il cambiamento climatico e l’integrazione dei migranti. Sul modello di ripartizione è ancora in corso una discussione poiché Paesi come l’Italia che scontano una posizione di partenza peggiore avrebbero diritto ad un incremento di risorse maggiore.
Al netto di questa questione, seppur importante, vorrei segnale che il nostro Paese vede aumentare le Regioni meno Sviluppate che sono passate da 5 a 7 (alla Basilicata, Calabria Campania Puglia e Sicilia si aggiungono Molise e Sardegna) e ridurre le Regioni più Sviluppate che passano da 13 ad 11 (Piemonte, Toscana, FVG, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Valle d’Aosta, Veneto, PA di Bolzano e PA di Trento).
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Se si procedesse alla ripartizione delle risorse UE, senza alcun correttivo, si rischierebbe di allargare ulteriormente la forbice tra aree del Paese: per ogni abitante per le Regioni meno Sviluppate si registrerebbe una diminuzione di 18 euro pari a -1,8%, per le Regioni in transizione una diminuzione di 53 euro pari a – 12,3%, mentre per le Regioni più Sviluppate un incremento di 53 euro pari a +26%.
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La proposta di Regolamento Generale prevede la possibilità per lo Stato Membro di trasferire, fino al 15%, le risorse tra le diverse categorie di Regioni[footnote]Confronta Articolo 105 del Regolamento Generale CPR[/footnote]: una possibilità da tener presente in sede di tavolo tecnico di recente istituzione sulla programmazione 2021-2027 tra Regioni e Dipartimento delle Politiche di coesione.
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