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Politiche regionali per l’innovazione e la competitività dei sistemi marginali. Un’analisi degli interventi nel ciclo di programmazione 2007/2013 in Calabria

Il framework della Specializzazione Intelligente riserva un ruolo anche alle economie territoriali più deboli nel quadro delle catene globali del valore e fa sì che le politiche per la ricerca e l’innovazione siano determinanti nel più ampio quadro delle politiche di coesione.
Investire in questi ambiti nelle aree marginali, laddove esistono difficoltà ulteriori connesse alla perifericità e alla carenza dei servizi di base, significa poter contribuire ad innalzare il livello di competitività dei sistemi locali e a ridurre i divari con le aree economicamente più avanzate.
Ciò detto, le politiche per la ricerca e l’innovazione sono politiche complesse, ad alto rischio di fallimento e richiedono competenze diversificate a chi le programma e a chi le attua. Queste complessità in fase di attuazione solo alla base delle evidenti criticità e del modesto impatto sul sistema.
Partendo da questi presupposti, è stata realizzato uno studio focalizzato sugli interventi per la ricerca e l’innovazione finanziati dalle politiche di coesione nel ciclo di programmazione 2007-2013 in un’area marginale come la Calabria, concentrandosi su una prospettiva specifica e in gran parte trascurata nelle ricerche economiche e sociali ovvero quella dell’attuazione delle policy.
Si tratta di una analisi delineata a partire da indagini di tipo desk basata sui dati di OpenCoesione che rappresenta la principale fonte sull’attuazione delle politiche di coesione in Italia.
I fatti
Nell’intero ciclo di programmazione 2007-2013, in Calabria sono stati finanziati 2.539 progetti per un ammontare complessivo di poco inferiore ad 819 milioni di euro, pari ad un quinto delle risorse totali delle politiche di coesione attuate in Calabria. In media, il contributo netto è di 322mila euro a progetto, vale a dire che sono stati impegnati 415 euro per ogni cittadino calabrese ovvero 5.235 euro per ogni impresa attiva. Poco meno del 30% delle risorse totali, pari a 242 milioni euro, è comunque riferito a progetti con ambito di localizzazione multi-regionale.
Più della metà delle risorse deriva dal PON R&C 2007-2013, poco più del 20% dal POR Calabria FESR 2007-2013. Ulteriori fondi sono relativi al PAC MIUR (15,8%), al PAC MiSE – Imprese, domanda pubblica e promozione (3,5%), al PAC Calabria (2,2%) e al PAC MiSE – Autoimpiego e autoimprenditorialità (2%).
La quota più rilevante di risorse, pari a circa 350 milioni di euro che coprono quasi il 43% dei finanziamenti totali, è destinata ai 463 progetti di ricerca e sviluppo. L’ammontare di risorse destinato rispettivamente agli interventi di potenziamento infrastrutturale e agli incentivi alle imprese equivale a 223 milioni di euro, pari a poco più del 27% dei finanziamenti totali. Estremamente differente è, però, la dimensione dei progetti: gli interventi di natura infrastrutturale sono appena 29 per un valore medio di 8,1 milioni di euro, mentre sono 2.026 i progetti riferiti agli incentivi erogati alle imprese per un valore medio di 189mila euro. Una parte residuale di risorse, equivalente a 23 milioni di euro (2,8% del totale), ha finanziato servizi di intermediazione che poggiano essenzialmente sulla costituzione della Rete Regionale dell’Innovazione e dei Poli di Innovazione Regionali.
Sul potenziamento infrastrutturale, oltre i due terzi dei contributi sono quasi equamente suddivisi tra le tecnologie dell’informazione e della comunicazione con particolare riferimento alle infrastrutture di connessione e alle reti di calcolo (23,4%), l’agrifood declinato anche in termini di sicurezza alimentare (22,4%) e il connubio energia-ambiente (22,2%). Relativamente meno rilevanti sono le risorse destinate ad infrastrutture di ricerca sui nuovi materiali (14,4%) e sul tema della salute (8,4%).
Focalizzando l’attenzione sui progetti di R&S, l’ambito nel quale l’accesso ai contributi è aperto alla pluralità degli attori del sistema di innovazione, emerge, a differenza della finalità dichiarata, come la parte preponderante delle risorse economiche è catturata dal sistema della ricerca (poco meno del 40% delle risorse ad organismi di ricerca pubblici, a cui va aggiunta la quota delle aggregazioni pubblico-private per lo più a guida accademica che è pari al 16,8% del totale). Le imprese, PMI e grandi, spuntano il restante 44,4% dei contributi.
Di più, anche per effetto delle modalità di disegno delle procedure, la quasi totalità dei finanziamenti è assegnata a progetti, in cui è prevalente la ricerca industriale, che producono sostanziali avanzamenti in termini di ricerca scientifica su cui le asimmetrie informative in termini di valutazione sono più forti e i cui risultati sono ancora lontani dall’essere spendibili sul mercato.
Il corollario che discende da tali evidenze è che i leader dell’innovazione in termini di progetti di ricerca e sviluppo sono in larga misura soggetti pubblici: la prima impresa privata si trova solamente all’ottavo posto della classifica virtuale. Il primato è dell’Università della Calabria che si assicura un contributo di 49 milioni di euro in 49 progetti, seguita dall’Università Mediterranea di Reggio Calabria con 38,7 milioni di euro in 23 progetti e dal CNR con 29,6 milioni di euro in 33 progetti. Nel complesso, le tre Università realizzano quasi un quarto dei progetti totali per un terzo delle risorse. Se allarghiamo la prospettiva ai primi dieci soggetti, la quota di risorse assorbita supera il 52%.
Concentrando l’analisi sulle imprese a cui sono stati finanziati almeno due progetti, emerge come al primo posto, ovvero l’ottavo della graduatoria generale, si posiziona Poste Italiane con un contributo di 9,4 milioni di euro in 4 progetti, seguono Engineering spa con 7,2 milioni di euro in 2 progetti e Infosat srl con 4,7 milioni di euro in 5 progetti. Al quinto e al sesto posto, ovvero al tredicesimo e al quattordicesimo posto della graduatoria generale, si collocano le sole due imprese afferenti alla classe delle PMI made in Calabria: Salumificio Dodaro ed Exeura.
Con riferimento agli incentivi per la creazione d’impresa e gli investimenti innovativi, emerge come il 60% dei finanziamenti sia destinato a sostenere l’innovazione in 318 imprese mediante ammodernamento produttivo o acquisizione di servizi, a fronte del 40% finalizzato ad agevolare la creazione di 1.708 nuove aziende.
Analizzando la graduatoria per singola impresa beneficiaria di finanziamenti per investimenti innovativi, dopo TIM e Linkem, titolari di due contratti di sviluppo nelle Regioni Convergenza per un ammontare complessivo di 44,2 milioni di euro, al terzo posto si posiziona il Gruppo Oleario Portaro, la prima impresa tra le realtà made in Calabria, che beneficia di 9,3 milioni di euro per la realizzazione di un programma di investimento innovativo. Segue la Medcenter Container Terminal che riceve un finanziamento di circa 7,2 milioni di euro. Nel complesso le prime dieci imprese spuntano un contributo complessivo di 76,1 milioni di euro, pari ad oltre un terzo delle risorse totali.
Focalizzando l’attenzione sulle misure volte alla creazione d’impresa, i settori che ottengono la quota maggiore di contributi sono, quasi a pari merito, quelli che tradizionalmente contraddistinguono il sistema imprenditoriale regionale: agroindustria (11,4%), alloggio e ristorazione (11,3%) e costruzioni (11,1%).
Le deduzioni
A fronte degli investimenti realizzati, l’analisi dei principali indicatori socio-economici (spesa in ricerca e sviluppo sul PIL, addetti alla ricerca e sviluppo, ecc..) mostra come in Calabria non sia ancora adeguatamente strutturato un sistema regionale di innovazione in grado di promuovere e sostenere la crescita del sistema delle imprese e la modernizzazione della Pubblica Amministrazione. I dati mettono in evidenza una “non-riduzione” dei divari in combinazione, però, ad un certo fermento stimolato nei settori ad alta intensità di conoscenza.
Sembra delinearsi un quadro in cui si perpetua il paradigma della “ricerca senza innovazione e dell’innovazione senza ricerca” e in cui la spesa per ricerca e sviluppo è limitata quasi esclusivamente a quella di derivazione comunitaria. Va comunque tenuto conto del fatto che l’attuazione di queste politiche avviene in un contesto economico regionale caratterizzato dal persistere di tendenze decisamente negative, in ragione degli effetti ritardati della crisi mondiale. Ancora oggi, l’economia calabrese sembra perdere terreno in termini di capacità comparata di produrre reddito, di trattenere residenti, di attivare forza lavoro potenziale, di generare nuova e buona occupazione. In quest’ottica quindi il non peggioramento degli indicatori, per di più in un quadro in cui le politiche regionali sono sostitutive piuttosto che aggiuntive rispetto all’intervento ordinario, può essere considerato un risultato.
Tuttavia, l’azione delle politiche regionali, specialmente di quelle volte a sostenere la ricerca e l’innovazione, non può esaurirsi in una funzione anticiclica. Ma deve essere in grado di contribuire alla costruzione di ecosistemi innovativi, capaci di aggregare competenze scientifiche e capacità imprenditoriali specializzate nello stesso territorio e al tempo stesso interconnessi in una visione di competitività a scala globale.
Occorrono, poi, interventi che facciano emergere ed aggreghino la domanda, in particolare delle micro imprese. Con un tessuto produttivo molto debole e frammentato come quello calabrese è fondamentale assegnare a specifiche istituzioni il compito di realizzare attività continue di trasferimento tecnologico e valorizzazione della ricerca svolta nei centri pubblici.
È necessario un ripensamento delle modalità di attuazione nella direzione di contemplare meccanismi di premialità o penalizzazione al raggiungimento reale o mancato di step intermedi.
D’altra parte, gli strumenti di incentivazione non possono essere la sola leva per determinare cambiamenti nel sistema produttivo locale. Si tratta di cambiare permanentemente le condizioni dei contesti di insediamento, accrescendo la dotazione di economie esterne.
Pur rimanendo essenziali, in special modo nelle aree marginali, queste politiche necessitano, anche con riferimento alla programmazione post 2020, di un profondo ripensamento almeno sotto tre angolazioni.
Primo, serve una governance multilivello con la distinzione chiara delle prerogative dei Ministeri e delle Regioni. Alcuni interventi a carattere più generalista o dove il rischio di “cattura” è più elevato sarebbe meglio che venissero attuati a livello centrale, parimenti laddove vi sono delle specificità territoriali di cui tenere conto è opportuna una regia locale.
Secondo, le modalità di implementazione sono di cruciale importanza. Le priorità definite in fase strategica vanno tradotte in procedure, meccanismi operativi, criteri di selezione capaci di generare i risultati attesi e direzionare gli interventi.
Terzo, va rafforzata la domanda d’innovazione sia da parte delle piccole imprese locali che da parte degli attori pubblici. Da questo punto di vista, occorrerebbero maggiori investimenti sulle azioni di pre-commercial public procurement mediante le quali l’Amministrazione assume il ruolo di “cliente intelligente” e di “co-innovatore”, orientando i piani di ricerca ed innovazione delle imprese verso i fabbisogni delle comunità locali e le linee di sviluppo territoriale individuate. Attraverso la condivisione dei rischi e dei benefici di mercato e lo sviluppo competitivo in più fasi, tali misure potrebbero contribuire alla creazione di nuovi mercati di sbocco di beni e servizi ad alto contenuto innovativo e, quindi, al sostegno della capacità competitiva delle imprese.

NOTE ALL’ARTICOLO:
L’articolo è in via di pubblicazione nel volume: Mirabelli M. e Russo A. (a cura di) (2019), Politiche innovazione e sviluppo, Aracne

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