I mari e gli oceani coprono il 71% della superficie terrestre e, oltre ad essere essenziali per il mantenimento dell’equilibro naturale del pianeta, rappresentano una fonte decisiva per lo sviluppo economico e sociale dell’umanità. Dalla pesca al turismo, all’estrazione di materie prime, alla cantieristica, ai trasporti, il mare unisce le molteplici attività e filiere produttive che dipendono, direttamente o indirettamente, dalle sue risorse e dalle coste, in un ampio e variegato tessuto imprenditoriale – “l’economia blu” – che necessita di linee strategiche comuni per integrare la sostenibilità ambientale nelle politiche economiche afferenti ai suoi diversi settori.
Negli ultimi anni, a livello di Unione Europea, il tema dell’economia blu ha ricevuto particolare attenzione, a partire dalla pubblicazione della Comunicazione della Commissione europea, del 13 settembre 2012, “Crescita blu: opportunità per una crescita sostenibile dei settori marino e marittimo” (COM(2012) 494 final), che delinea una strategia a lungo termine dell’UE per promuovere lo sviluppo dell’economia del mare, in linea con gli obiettivi della Strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva e nel solco della Politica Marittima Integrata (PMI) dell’Unione Europea. Nello specifico, la Comunicazione sulla “crescita blu” individua cinque settori con un elevato potenziale per l’occupazione e la crescita (acquacoltura; turismo; biotecnologia marina; energia oceanica; estrazione dai fondali marini), prevedendo la messa a punto di azioni per migliorare le conoscenze oceanografiche, la gestione delle attività marittime e garantire la sicurezza (ovvero la sorveglianza marittima integrata) delle acque dell’UE.
Da allora, a livello europeo sono state intraprese numerose iniziative per potenziare l’economia blu. In particolare, la Commissione ha lanciato campagne di comunicazione ed emanato degli Orientamenti strategici per lo sviluppo sostenibile dell’acquacoltura nell’UE (COM(2013) 229 final) che sono stati integrati nei diversi Piani Strategici per l’Acquacoltura 2014-2020 adottati dagli Stati membri. Ha adottato, inoltre, una Strategia per la crescita ed occupazione nel settore del turismo costiero e marittimo (COM(2014) 86 final), che ha ricevuto impulso, tra l’altro, nelle strategie di sviluppo locale partecipativo (CLLD) avviate dagli Stati membri nel quadro dell’attuazione del Fondo europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca (FEAMP) 2014-2020. Sono stati elaborati, altresì, un Piano di Azione sull’Energia blu per realizzare il potenziale dell’energia oceanica (COM(2014) 8 final) accompagnato da una analisi di Impatto, nonché studi tecnici volti ad approfondire le conoscenze su possibili applicazioni delle biotecnologie blu e sullo sfruttamento di giacimenti minerari in acque profonde. Nel 2017, in accordo con l’Unione del Mediterraneo, la Commissione ha adottato l’Iniziativa WESTMED per lo sviluppo sostenibile dell’economia blu nel Mediterraneo occidentale, che coinvolge 10 Paesi della Regione (Francia, Italia, Portogallo, Spagna, Malta, Algeria, Libia, Mauritania, Marocco e Tunisia), al fine di rafforzare il coordinamento e la cooperazione trasfrontaliera nel campo della sicurezza marittima, dell’occupazione e creazione di posti di lavoro, della tutela degli ecosistemi e della biodiversità. Inoltre, il nuovo FEAMP per il periodo 2021-2027, attualmente in fase di negoziato, si articolerà in quattro Priorità di azione di cui una, per la prima volta, interamente dedicata alla Blue Economy (Priorità 3: consentire la crescita di un’economia blu sostenibile e promuovere […] lo sviluppo di comunità della pesca e dell’acquacoltura nelle aree costiere e interne).
Stato attuale e prospettive della Blue Economy nell’UE
Una delle principali opportunità e sfide oggi connesse all’economia blu è, secondo la Commissione, promuovere lo sviluppo di nuove attività economiche emergenti (energia eolica offshore, energia oceanica, bio-economia e biotecnologia blu, desalinizzazione ecc.) accanto al consolidamento dei settori marittimi tradizionali.
Ciò è emerso in particolare durante l’incontro annuale dell’UE dedicato ai mari e agli oceani, la Giornata europea dei Mari (European Maritime Day – EMD), che quest’anno si è tenuto a Lisbona il 16 e il 17 maggio. In tale occasione, il Commissario uscente all’Ambiente, gli affari marittimi e la pesca, Karmenu Vella, ha presentato il secondo rapporto sull’Economia Blu dell’UE (The Eu Blue Economy Report 2019) preparato dalla Direzione Generale Affari marittimi e Pesca (DG MARE) e dal Centro Comune di Ricerca (JRC) della Commissione europea. Il report fa il punto sulla situazione sulla portata attuale e sullo sviluppo nei Paesi membri dell’UE a livello aggregato dei settori marittimi tradizionalmente riconducibili all’Economia blu (turismo costiero, prelievo e commercializzazione di risorse marine viventi, estrazione di minerali marini, petrolio e gas, attività portuali, cantieristica navale, trasporti marittimi) e di nuovi settori emergenti, con l’obiettivo di fornire una base di conoscenza e orientamento a responsabili politici e portatori di interesse impegnati nella gestione e ricerca di uno sviluppo sostenibile degli oceani, dei mari e delle risorse costiere.
Il quadro che emerge dal rapporto, complessivamente, è quello di una economia blu in espansione, con un utile lordo registrato nel 2017 di 74,3 miliardi di euro (2% in più rispetto al 2009) e 4 milioni di occupati (aumentati di mezzo milione dal 2011) nei soli settori consolidati/“tradizionali” (fig. 1) che rappresentano (esclusi i settori emergenti) l’1,3% del PIL e l’1,8% dell’occupazione totale dell’UE. Il volume d’affari complessivo al 2017 è stato di 658 miliardi di euro, con un aumento dell’11% rispetto al 2009. Regno Unito, Spagna, Germania, Francia e Italia sono le 5 più grandi economie blu d’Europa, seguite da Paesi Bassi, Danimarca e Grecia. Inoltre, negli Stati membri insulari e in quelli con numerosi arcipelaghi (Grecia, Croazia, Malta e Cipro) l’economia blu rappresenta oltre il 5% in termini di occupazione o valore aggiunto lordo (VAL) nazionale.
Accanto ai comparti dell’economia marittima da sempre rientranti nel quadro nell’Economia Blu, il report ha il pregio di ampliare l’analisi anche a diversi nuovi settori, ovvero attività economiche marittime innovative e ad alto potenziale, quali lo sviluppo dell’energia blu (eolica e oceanica), la bio-economia blu (che presenta applicazioni in diversi ambiti, tra cui alimentare, farmaceutico, cosmetica, energia, servizi di bio-remediation), la ricerca ed estrazione di minerali dai fondali marini, lo sviluppo di processi di desalizzazione dell’acqua marina, la difesa e sicurezza marittima. I dati economici attualmente disponibili evidenziano un chiaro potenziale di crescita anche in tali settori, anzitutto in termini di aumento di posti di lavoro (specialmente nel campo dell’energia eolica off-shore e della Blue Bio Economy). Tuttavia, l’incertezza sulla sostenibilità ambientale di talune attività (in particolare l’estrazione di minerali) impone cautela e approfondimenti volti a migliorare la conoscenza degli ecosistemi dei fondali marini e della loro resilienza, la messa a punto di un quadro giuridico per la loro regolamentazione nonché lo sviluppo di tecnologie appropriate per mitigarne gli impatti ambientali.
La Blue Economy in Italia
In tale quadro l’Italia, con oltre 8000 km di coste, una antica tradizione marittima ed un chiaro trend di crescita nell’economia del mare, è tra le cinque più grandi economie blu d’Europa. Basti pensare che l’economia blu italiana rappresenta il 3,1% del PIL il 3,5% dell’occupazione complessiva nazionale ed è sempre più capace di attrarre giovani imprenditori. Secondo il VII rapporto Nazionale Unioncamere sull’Economia del mare, il 10% delle imprese italiane nei settori della blue economy (circa 19.000) sono nate negli ultimi anni da iniziative di imprenditori under 35, principalmente nel centro e nel Sud d’Italia, con una concertazione nei settori dell’alloggio e ristorazione, della filiera ittica e delle attività sportive e ricreative. L’Italia è inoltre tra i Paesi del Mediterraneo e d’Europa con il maggior numero di servizi ambientali forniti dal mare in termini di biodiversità e qualità del paesaggio (contando ben 27 aree marine protette).
A livello di visione strategica, tuttavia, come evidenziato in occasione del recente Convegno “Blue Economy: National Strategic Asset” di Confindustria Piccola Industria Nazionale (1 ottobre 2019, La Spezia) è necessario aumentare gli investimenti in infrastrutture e migliorare il quadro normativo nazionale, per supportare le imprese della blue economy italiane (sia della piccola che della grande industria) nonché favorire gli investimenti esteri e non perdere competitività rispetto ai porti stranieri. Anche per quanto riguarda la tutela del mare e degli ecosistemi, l’Italia dovrebbe dedicare maggiori risorse umane e materiali. Secondo l’ultimo Rapporto dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (AsvIS) relativo allo stato di avanzamento del nostro Paese rispetto all’attuazione dell’Agenda 2030 e ai 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals– SDGs), tra le maggiori criticità nel conseguimento del Goal 14 “Conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile” figurano il diffuso mancato rispetto della legalità da parte dei singoli e degli operatori economici, lo scarico illecito e incontrollato di rifiuti sulle nostre spiagge (gli scarichi illegali riguardano un abitante su quattro) e la cattiva depurazione delle acque. Tuttavia, non sono intervenute nell’ultimo anno novità normative sul tema del mare. Inoltre, seppur l’assetto normativo italiano derivato dalla Direttiva quadro 2008/56/CE sulla strategia per l’ambiente marino, già risponderebbe in buona parte al raggiungimento di diversi Target del Goal 14 (imponendo il raggiungimento nel 2020 del Buono stato ecologico – Bse, Good Environmental Status), mancano strumenti gestionali adeguati per l’effettiva messa in pratica della Direttiva stessa. Considerate queste lacune, tra le azioni raccomandate l’AsvIS ha chiesto al Governo: – l’immediata implementazione del programma di monitoraggio previsto dalla Direttiva 2008/56/CE; – la ratifica del Protocollo relativo alla protezione del Mar Mediterraneo dall’inquinamento derivante dall’esplorazione e dallo sfruttamento della piattaforma continentale, del fondo del mare e del suo sottosuolo, adottato nel 1994 nell’ambito della Convenzione di Barcellona; – la ratifica del protocollo di Nagoya (firmato il 23 giugno 2011) relativo all’accesso alle risorse genetiche e all’equa condivisione dei benefici derivanti dal loro utilizzo (richiamato dai Target 2.5 e 15.6 dell’Agenda 2030). Inoltre, nel quadro della Convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione dei cittadini e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, ratificata dall’Italia nel 2001, occorrerebbe promuovere la partecipazione attiva dei cittadini e della società civile ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale anche sui temi attinenti alla tutela del mare.
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