Il Parlamento europeo ha varato una risoluzione per integrare il tema della conservazione della biodiversità nelle politiche rivolte ai paesi in via di sviluppo e in quelle comunitarie. Partendo dagli obiettivi di Agenda 2030 il documento fornisce indirizzi strategici e mette in guardia da alcuni rischi di effetti indesiderati.
Lo scorso 6 ottobre il PE ha prodotto una risoluzione che considera il tema della perdita di biodiversità nei paesi in via di sviluppo (PVS) come elemento di grande preoccupazione non solo per le popolazioni di questi Paesi ma per la comunità globale.
Il documento pone l’accento sulla necessità che le strategie per il contrasto alla perdita di biodiversità si pongano come presupposto imprescindibile per tutte le iniziative a favore dei PVS, in una visione olistica che considera tutte le implicazioni conseguenti alle singole strategie e in coerenza con l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile e gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS). Nel documento, infatti, si evidenzia come la biodiversità sia strettamente collegata con altri temi di portata generale costituiti dal cambiamento climatico e dal diritto dei popoli e come questi tre elementi debbano trovare un punto di sintesi complessivo nel concetto della “sostenibilità”: ambientale, sociale ed economica.
L’importanza della tutela della biodiversità viene prima di tutto messa in relazione al suo impatto economico, che non è prodotto singolarmente dalla gamma di specie animali e vegetali e dalla comunità microbica che il termine sottende, per quanto affascinanti, quanto piuttosto dai servizi ecosistemici che vengono generati dalla biodiversità. Il concetto di “servizio ecosistemico” comprende la gamma di servizi che si originano dalla biodiversità naturale e che riguardano ad esempio l’impollinazione, la regolazione del clima, la protezione dalle alluvioni, la fertilità del suolo e la produzione di cibo, combustibile, fibre e medicine (qui un approfondimento dell’Agenzia Europea dell’Ambiente).
Nella risoluzione si riporta come la stima mondiale più completa (Biodiversity: finance and the economic and business case for action – OSCE – Maggio 2019) indichi che i vantaggi offerti dai servizi ecosistemici siano pari a 125-140 miliardi di USD all’anno «vale a dire più di una volta e mezza l’ammontare del PIL mondiale».
A riprova del potenziale impatto a livello globale della perdita di biodiversità, il documento indica come ci siano prove scientifiche che la pongono in relazione al crescente rischio di insorgenza di malattie che si tramettono tra animali e specie umana, come COVID-19, e come proprio la pandemia abbia evidenziato l’importanza di riconoscere il nesso intrinseco tra salute umana, salute animale e biodiversità.
Queste considerazioni, di portata planetaria, evidentemente si sommano a quelle che interessano specificamente i PVS nei quali spesso la sopravvivenza delle popolazioni locali è garantita dallo sfruttamento della biodiversità, per fini alimentari ma più in generale per tutti i fattori della sussistenza, regolato per secoli da pratiche “sostenibili” e ora messo in crisi dall’applicazione di politiche di sfruttamento industriale delle risorse.
Da queste considerazioni nasce la necessità di promuovere la conservazione della biodiversità nei PVS e, a tale scopo, il PE si compiace del fatto che il nuovo strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale (NDICI) – “Europa Globale” abbia inserito la conservazione della biodiversità e dell’ambiente tra i suoi obiettivi specifici, con un impegno di risorse per la biodiversità pari al 7,5% nel 2024 che salirà al 10% annuo nel 2026 e 2027[1].
La risoluzione entra poi nel merito di alcune politiche generali fornendo gli elementi necessari a promuovere l’integrazione della biodiversità nella loro definizione e implementazione.
Relativamente alle politiche per lo sviluppo si enfatizza la necessità della coerenza tra le politiche in materia di biodiversità e le altre politiche dell’Unione rivolte ai paesi terzi, come gli accordi commerciali e di investimento. Ad esempio, viene evidenziato come i consumi dell’UE siano responsabili di circa il 10% della quota globale di deforestazione, per la fornitura di olio di palma, carne, soia, cacao, caffè e altri prodotti; tra questi prodotti spicca il legname, considerato che la crescente domanda di questa materia prima per materiali, energia e bioeconomia supera l’offerta comportando un aumento dei rischi di deforestazione e favorendo pratiche di taglio e commercio illegali.
Anche il tema della transizione verso un’economia verde e digitale, che trova massima condivisione nelle attuali politiche comunitarie, è opportuno che venga interpretato alla luce delle esigenze di conservazione della biodiversità, tenendo in considerazione le sue implicazioni rispetto al settore minerario e alle preoccupazioni che l’attività estrattiva possa estendersi in aree forestali sensibili, contribuendo alla deforestazione.
Per quanto riguarda agricoltura e pesca si rileva la stretta dipendenza dalla biodiversità dei sistemi agroalimentari locali e dei piccoli agricoltori, ponendo grande attenzione al tema delle sementi. Il documento ricorda che il miglioramento della diversità delle sementi e delle colture mediante il passaggio a varietà resistenti, cioè meno suscettibili alle situazioni ambientali e alle malattie che possono compromettere i raccolti, può contribuire a migliorare la resilienza ai cambiamenti climatici e ridurre l’uso di pesticidi. Tuttavia, viene anche ricordato come l’impiego di sementi geneticamente modificate coperte da brevetti mette a repentaglio l’economia dei piccoli agricoltori, che è opportuno vengano invece incentivati a proteggere e sviluppare le loro sementi tradizionali.
Analogamente è necessario proteggere la biodiversità marina e l’integrità biologica degli oceani, posto che circa 3 miliardi di persone fanno affidamento in tutto il mondo sui prodotti della pesca quale fonte proteica principale.
Con riferimento alla conservazione dell’ambiente naturale la risoluzione considera che le aree protette nei PVS hanno il potenziale di salvaguardare la biodiversità ma spesso ospitano comunità locali che hanno difficoltà ad ottenere il riconoscimento legale della proprietà collettiva delle terre da loro occupate storicamente. Poiché si stima che il 50% delle aree protette nel mondo si trovi su terre tradizionalmente occupate e utilizzate da popoli indigeni è necessario verificare che progetti e accordi per la conservazione della natura non incidano sui terreni, sui territori o sulle risorse naturali delle popolazioni indigene e delle comunità locali.
Un ulteriore approfondimento riguarda la criminalità ambientale che viene considerata in riferimento al traffico illegale di specie selvatiche. Il PE ritiene che in alcuni contesti il commercio e il consumo di specie selvatiche rappresentino un rischio in termini di pandemie future. Inoltre, osserva come i reati ambientali minaccino la sicurezza umana poiché generano violenza e conflitti e alimentano la corruzione.
Il documento completo della risoluzione (n. P9_TA(2021)0404 è disponibile qui).
[1] Il budget complessivo dello strumento NDICI – “Europa globale” è pari a 79,5 miliardi di euro per l’intero periodo di programmazione 2021-2027.
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