Nei giorni scorsi Confartigianato ha presentato uno studio realizzato in collaborazione con Fondazione Promo Pa, che ha prodotto il Rapporto “Il futuro delle politiche di coesione dal punto di vista dell’artigianato, delle MPMI e dell’impresa diffusa in Italia e in Europa” (link).
La ricerca ha analizzato l’utilizzo delle risorse del bilancio europeo nella programmazione FESR 2014-2020, in particolare, ha approfondito lo scenario delle politiche di coesione dal punto di vista delle esigenze delle imprese Medie, Piccole e Micro (MPMI) e della tutela della competitività del mondo dell’artigianato.
Sulla base dei dati di OpenCoesione nel settennato 2014-2020, risultano finanziati attraverso il Fondo europeo di Sviluppo Regionale – FESR – 109.241 progetti per un valore complessivo di 29,1 miliardi di euro. La maggior parte dei fondi (62%) è andata a beneficiari pubblici, mentre le micro, piccole e medie imprese hanno ricevuto il 20% (5,8 miliardi), soprattutto sotto forma di contributi a fondo perduto e agevolazioni. Le grandi imprese sono state infine beneficiarie di 980 progetti (1% del totale), ma hanno ricevuto l’11% dei fondi (oltre 3 miliardi), il che suggerisce una taglia media più alta dei progetti acquisiti.
Concentrando innanzitutto l’attenzione sulla quota di progetti acquisiti direttamente dalle MPMI (cfr. Tab.1, 36.847 progetti per un valore di circa 5,7 miliardi) e focalizzando l’analisi sulle micro e piccole imprese vediamo come le microimprese (0-9 addetti) hanno avuto un ruolo significativo poiché, con oltre 23.624 progetti e 1,7 miliardi di euro di finanziamenti ricevuti hanno intercettato il 51% del totale dei progetti finanziati alle imprese, a cui però corrisponde soltanto il 16% degli importi. Le piccole imprese (10-49 addetti), invece, sono risultate beneficiarie di circa 10.000 progetti (22% del totale) per un valore simile alle micro, 1,7 miliardi di euro di finanziamenti (16% del totale).
I progetti delle micro e piccole imprese risultano piuttosto frammentati (con una taglia media di circa 104.000 euro) e riguardano essenzialmente la voce “Sviluppo dell’attività delle PMI, sostegno all’imprenditorialità e all’incubazione” (35% del totale dei progetti finanziati) e “Investimenti produttivi generici nelle piccole e medie imprese” (27% dei progetti finanziati). Si tratta essenzialmente di contributi a fondo perduto, voucher per la partecipazione a fiere, agevolazioni per acquisto di impianti, macchinari, beni strumentali e attrezzature, ristori dovuti all’emergenza Covid. Molto limitati sono invece i progetti relativi alle tematiche ad alto valore aggiunto, come la ricerca e l’innovazione, il trasferimento tecnologico, le infrastrutture, la transizione verde.
Se infine, focalizziamo l’attenzione sulla quota dei fondi FESR intercettati dai beneficiari pubblici nel periodo di programmazione 2014-2020 ed analizziamo come tali fondi si sono tradotti in bandi pubblici a favore delle imprese il quadro è positivo per le aziende di minore dimensione e conferma la centralità e la rilevanza di tali fondi per l’economia del Paese.
Le micro e piccole imprese infatti sono risultate aggiudicatarie del 49% degli appalti finanziati con fondi FESR, per un valore complessivo di quasi 4 miliardi di euro. Se aggiungiamo anche le medie imprese arriviamo al 61% dei progetti e al 49% delle risorse.
Le micro e piccole imprese sono state dunque attori fondamentali per la spesa dei fondi 2014- 2020 transitata attraverso i bandi dei soggetti pubblici, soprattutto nelle linee di intervento relative a infrastrutture sociali, educative e culturali. Le grandi imprese restano avvantaggiate nei settori più complessi e ad alta tecnologia, come quelli legati alla digitalizzazione e all’e-government.
Alla conclusione del Rapporto, le proposte di Confartigianato auspicano il mantenimento delle politiche di coesione come presidio di tipo “orizzontale” di democrazia e pace sociale in grado di lavorare per ridurre le disparità territoriali e per agire contemporaneamente sia sugli obiettivi di politica economica (FESR) che su quelli di politica sociale e occupazionale (FSE) consapevoli che il nuovo contesto internazionale e il probabile re-investimento sulla filiera della sicurezza e della difesa rischiano di penalizzare fortemente le MPMI che sono meno presenti in questo tipo di filiere.
Secondo Confartigianato, infatti, nell’ attuale dibattito relativo all’utilizzo dei fondi di coesione per le politiche di difesa UE, occorre tener presente che non esiste un‘alternativa tra coesione e difesa, ma politiche di difesa che tengano conto delle istanze e delle vocazioni dei diversi territori. Visto che i territori sono i “contenitori” di competenze, specificità, vocazioni identitarie, che riguardano anche – ma non solo – la filiera “ampia” della sicurezza, le politiche di coesione dovrebbero seguire tali inclinazioni ed essere considerate come una componente essenziale delle politiche industriali del sistema Paese.
In tale contesto anche il quadro regolatorio andrebbe rivisto. È noto che il regulatory burden, cioè lo sforzo per garantire la conformità a regolamenti, standard e formalità amministrative risulta più oneroso per le PMI che per le imprese più grandi, a causa della limitatezza delle risorse finanziarie e umane a loro disposizione. Sviluppare un quadro regolatorio che premi l’azione aggregata delle imprese dovrebbe essere una proposta da valorizzare nell’ambito del nuovo quadro europeo per la competitività e della riforma del Regolamento sugli appalti pubblici, con l’obiettivo di consentire alle MPMI di trovare una collocazione orizzontale nelle catene del valore più ampie e costruire un sistema integrato a rete che tenga anche conto del valore sociale dell’impresa sui territori.
Ancora, come visto in precedenza, gli appalti pubblici rappresentano un’opportunità chiave per le MPMI, ma la partecipazione è ancora limitata e la capacità di aggiudicarsi le gare è spesso condizionata dall’assenza di uffici gare strutturati e dalla mancanza di competenze qualificate, anche di carattere giuridico. Per questa ragione, lo sviluppo di azioni di formazione e capacity building di sistema a supporto delle imprese rappresenta un punto imprescindibile da affrontare.
Avere stazioni appaltanti qualificate e competenti è la prima garanzia per rendere efficiente il sistema e dunque per far sì che il mercato pubblico sia appetibile ed interessante anche per le piccole. Da questo punto di vista l’esperienza italiana dimostra che, se si interviene con una grande azione di rafforzamento della capacità amministrativa e di formazione per le imprese che operano nel mercato PA si possono ottenere risultati positivi.
In sintesi, nella progettazione della Politica di Coesione post 2027 occorrerà utilizzare al meglio tutti gli strumenti che consentano di recuperare efficienza. Ciò significa nella visione di Confartigianato utilizzare quello che vi è di positivo al netto delle rispettive peculiarità, nel METODO NextGenerationEU (NGEU), senza con questo stravolgere le caratteristiche delle politiche di coesione. Nel confronto e dialogo tra politiche regionali e quadro strategico nazionale ed europeo dovrà essere trovato un equilibrio che da un lato recepisca il modello NGEU e dall’altro consenta di lasciare alle regioni la titolarità delle scelte. Qualunque siano le soluzioni o i meccanismi di governance che saranno individuati per il post 2027 per Confartigianato sarà essenziale che essi incidano positivamente in un quadro che vede penalizzate ad oggi le Piccole e Microimprese, soprattutto nelle filiere ad alto valore aggiunto.
Le MPMI restano un pilastro della competitività europea e devono rimanere al centro delle politiche di coesione.
La sfida per il futuro sarà garantire un sistema di coesione più efficace e inclusivo, capace di rispondere alle reali esigenze del tessuto imprenditoriale e della crescita europea, è di qualche giorno fa l’intervento del ministro della Difesa, in risposta al question time al Senato, in merito al piano di riarmo europeo. Per Crosetto si tratta di un’operazione che rappresenterà un’occasione di moltiplicazione economica, ipotizzando che “ogni euro investito nella Difesa generi circa 2 euro addizionali di valore aggiunto per il Paese e per ogni 10 occupati nelle grandi imprese del settore – ha spiegato Crosetto – ve ne sono altri 30 nelle piccole e medie imprese collegate, viene quasi naturale concludere che investire in Difesa ha una valenza strategica che travalica il settore militare e che porta consistenti ricadute nel settore civile, a partire dall’occupazione, specialmente la più qualificata”.
Nonostante questa visione ottimistica il dilemma che hanno davanti i decisori europei e il Commissario Fitto, alla luce del nuovo Piano ReArm EU presentato dalla Commissione Europea lo scorso 6 marzo, che apre alla possibilità per i singoli stati di indirizzare una parte delle risorse della coesione verso gli obiettivi della sicurezza del continente europeo, con un inevitabile ridimensionamento e riassetto delle politiche di coesione, riguarda il come riuscire nella salvaguardia delle piccole e medie imprese che, oltre a rappresentare la spina dorsale della nostra economia, sono un elemento di stabilità e coesione nei territori.
Restiamo in attesa di conoscere in che modo l’Europa post ciclo di Programmazione 2021-2027 riuscirà a coniugare la necessità di costruire la propria difesa con l’effettuare un salto competitivo e migliorare la propria produttività senza sacrificare i principi della riduzione delle disuguaglianze.
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